Il 27 marzo 1966, a Roma, la giornata sembra iniziare con il sole. I pullman arrivati da tutta Italia scaricano le persone radunate per la manifestazione organizzata dal Comitato per la pace e la libertà nel Vietnam. Gli amici di Carlo Pascucci, nell’attesa che il corteo parta, si divertono a scherzare davanti alla cinepresa. Ma il cielo sopra ai pini di Roma inizia a rannuvolarsi, fino a esplodere in scrosci di pioggia sui manifestanti. Bandiere e cartelli vengono alternativamente esposti o usati per coprirsi la testa camminando verso Piazza del Popolo. Qui è Franco Antonicelli a leggere l’appello al governo italiano perché si impegni per la cessazione dei bombardamenti, il ritiro delle truppe americane e degli altri paesi dal Vietnam del Sud, il riconoscimento del fronte di liberazione nazionale vietnamita come interlocutore negli accordi di pace. A poca distanza, in Piazza Esedra, Raffaele Delfino dell’MSI guida una manifestazione di segno opposto, sull’aggressione comunista del Vietnam, per “fermare il comunismo nel mondo”. Il Corriere della Sera, quasi con stupore, titola “Nessun incidente”.
Intanto, a Saigon, diecimila persone radunate dall’associazione buddista della gioventù manifestano contro il governo. Sono passati quasi tre anni da quando il monaco Thích Quảng Đức si diede fuoco per protestare contro il regime cattolico di Ngô Đình Diệm, il generale ormai è stato deposto, ma le tensioni continuano a crescere.