“Sei morti, quindici feriti”, così titola La Stampa l’11 maggio 1974. Il giorno prima una rivolta nel carcere di Alessandria si è trasformata in strage. Ha contribuito a scatenarla l'intervento dei carabinieri sotto il comando del Generale Dalla Chiesa. Arrigo Ubertone e Luigi Germano, che proprio in quel periodo stanno realizzando un film amatoriale sulla pena di morte, si precitano nella cittadina piemontese e poi in altre località della Liguria da cui provengono per raccogliere delle interviste in strada. La domanda che viene posta è: “Lei pensa che la pena di morte in Italia possa avere un’efficacia nel contenimento dei delitti oppure no?” Le risposte degli intervistati nella maggior parte dei casi ci appaiono sconcertanti, per quanto influenzate da un clima di sovraeccitazione collettiva. La pena di morte non è un tabù, anzi, viene percepita come una “soluzione” accettabile per alcuni, ormai inevitabile per altri. E altri ancora la auspicano come giusta vendetta, invocata con rabbia davanti alla cinepresa. E se il diritto al divorzio sarà definitivamente ottenuto con il referendum che si svolgerà pochi giorni dopo queste interviste, vien da dire che le conquiste e i diritti non sono mai al sicuro. Il pericolo che la voglia della pena di morte ritorni da un momento all’altro - e che la sua abolizione non sia considerata una conquista condivisa 0- rimane attuale ogni giorno e deve essere costantemente tenuta presente. presentiamo un estratto rappresentativo delle interviste raccolte nel documentario, che nelle intenzioni degli autori, è un saggio storico e sociologico. Realizzato in 16mm (e lungo 30’), porta il titolo “4 marzo 1947”, la data dell’ultima esecuzione capitale in Italia. “Un test impressionante dell’immaturità civile dell’italiano medio” scriverà il critico Giulio Cattivelli dopo la presentazione della pellicola al Festival del cinema amatoriale di Montecatini del 1974.