Buenos Aires, 25 giugno 1978. Guardando queste immagini riprese da uno dei tanti argentini di origine italiana, Giuseppe Stefani, si direbbe che ci sia un intero popolo a festeggiare la vittoria della nazionale di calcio ai campionati del mondo. Perché, si sa, le imprese sportive uniscono e tutti scendono per le strade a festeggiare insieme sotto un’unica bandiera. Ma siamo nell’Argentina del 1978, guidata dal generale Videla e dalla sua giunta militare dopo il golpe del 1976 e quel Mundial è insanguinato. Molti lo scopriranno solo dopo, soprattutto all’estero, ma è impensabile che moltissimi non sappiano già. A poche centinaia di metri dagli stadi ci sono i luoghi della tortura, qualcuno poi racconterà che i torturatori si prendono una pausa durante le partite e persino le vittime festeggiano ai gol dell’Argentina. Verrà fuori poi che tra i moltissimi desaparecidos, ragazzi e ragazzi oppositori del regime scomparsi di cui non si ritroverà più neppure il cadavere, ci sono anche delle promesse del calcio, persino in odore di nazionale. “Un’intera generazione di ventenni e trentenni è stata cancellata durante il Mundial”, scriverà Cordolcini. I giocatori della squadra argentina sosterranno di non aver visto, né sentito. L'allenatore César Luis Menotti, politicamente di sinistra, dichiara di giocare per “alleviare il dolore del popolo”. Di sicuro quel mondiale, organizzato con il sostegno internazionale, e quella vittoria, ottenuta anche con degli aiuti arbitrali, sono strumenti potenti nelle mani della giunta militare che cadrà cinque anni dopo. E queste immagini pongono ancora molti interrogativi, proprio perchè spontanee, gioiose e filmate dal basso. Sequenze, girate per la strada e davanti al televisore, che segnano allo stesso tempo la memoria e l’oblio collettivo di quel mondiale della vergogna.