“Un piccolo grazioso ospitale paese dell’Alta Irpinia, Cairano sta vivendo in questi giorni il suo pur limitato quarto d’ora di celebrità,” così riportano le cronache del tempo. Quando un set cinematografico arriva in un paese “dimenticato” dove magari la vita scorre senza che succeda apparentemente nulla di eccezionale, la memoria di quel luogo è segnata per sempre. È il caso di Cairano, borgo molto povero e collocato su uno sperone di roccia, dove piomba nell’estate del 1963 la troupe cinematografica de “La donnaccia” del regista Silvio Siano. Un evento epocale per il paese che diventa il teatro delle riprese e vede la partecipazione corale degli abitanti come comparse e in piccole parti. Ermanno Acanfora, cineamatore “cronachista” dell’area campana che già si era distinto nella realizzazione di backstage di film più noti girati sulla costiera amalfitana, si lancia anche in quest’avventura restituendoci sequenze rubate sul set e splendidi ritratti degli attori, dei tecnici, della popolazione. Il film in paese sconvolge in qualche modo la comunità: “La gente che lavorava nei campi, non fu più disponibile, e quindi ci fu una carenza nelle campagne, perché la paga per fare la comparsa era dieci volte tanto”, qualcuno racconterà molti anni dopo. La “donnaccia” non solo l’appellativo con il quale viene chiamata una ragazza che ritorna in paese risvegliano i sensi della comunità e suscitando reazioni e rifiuti (proprio come la Boccadirosa della canzone di Fabrizio De Andrè), ovvero la trama di questo film tardo neorealista, ma è anche il nome con il quale i contadini chiamano la terra arida e povera di questo angolo della Campania impervio. Le immagini 8mm che Acanfora raccoglie il 5 agosto e nelle altre incursioni che fa sul set confondono le acque, tra contadini, preti, cardinali, carabinieri, giudici, attrici francesi, ragazze apparentemente morte e apparati del cinema, non si distingue più tra realtà e finzione. Poco importa visto che questo documento ormai è soprattutto un pezzo di memoria di un intero paese.