Bologna, 13 agosto 1977, la zona universitaria è deserta. È passato qualche mese dalla rivolta studentesca e dalla repressione e il cineamatore Vittorio Zappoli perlustra con la cinepresa Super8 la zona universitaria per fissarne a colori i “segni” rimasti. Il movimento del 1977 ha lasciato infatti segni visibilissimi nello scenario urbano: scritte, slogan, murales. Zappoli, che fa l’operaio e ha 29 anni, filma questo palcoscenico vuoto, memore di un ricordo di marzo prima quando, passando in automobile per quelle strade di notte per andare al lavoro, si era ritrovato di fronte un carro armato mandato dal Ministro degli Interni. Il clima irreale di quel ricordo e lo spavento provato contrastano con le esplosioni variopinte intrappolate in questi fotogrammi. Non è quindi un caso che nel Super8 Piazza Verdi sia introdotta dal primo piano di un cartello stradale con il divieto d’accesso con su scritto con la bomboletta “Territori Selvaggi” e una freccia che indica la piazza. La piazza appare ora tranquilla, con l’apparizione di qualche passante. Una zoomata esplora i totem di Arnaldo Pomodoro, colorate dagli studenti. Anche i pilastrini di pietra che delimitano la zona pedonale sono stati dipinti. Segue un dettaglio del Bar Goliardo, ex sede del movimento femminista, murato dalle autorità. Sopra l’accesso murato la scritta, ironica e amara, con la vernice rossa: “Il muro del pianto”. Si passa ai murales di via Zamboni e di via Belle Arti, sotto il portico dell’Accademia. Sono queste le immagini e la scritta simbolo “Alice” a sprigionare la vocazione libertaria del movimento (contro ogni forma di potere e autorità, compresa quella del PCI nazionale e cittadino) e offrono il colore del movimento alla zona universitaria (quei territori selvaggi che per breve tempo sono stati una città a parte). Accanto agli slogan ispirati al dadaismo (come “No alle bistecche, sì ai sacrifici. Siamo degli artisti, mangiamo le vernici”), le pitture sui muri con le allegorie del potere, i disegni satirici che ritraggono i politici, le figure dell’autorità e le maschere simbolo della città (il Dottor Balanzone), le auto-rappresentazioni degli indiani metropolitani e le icone del femminismo (accompagnate dallo slogan “Io sono mia”). Il film si chiude con le riprese nel cortile della Facoltà di Scienze Politiche in strada Maggiore (con l’insegna “Covo-là” che fa il verso allo slogan “Covo qui, covo là, cova tutta la città” e l’avviso di un incontro tenutosi a giugno “Donne venite tutte”). La perlustrazione Super8 di Zappoli camminando per la città vuota fa ancora più effetto se guardiamo le sequenze degli scontri e della manifestazione dopo la morte dello studente Lorusso (ucciso dalle forze dell’ordine) ripresi dalla finestra a metà marzo da Ballarini. Sembra tutto sospeso, e abbandonato forse per sempre, ma è solo l’estate: a settembre con il grande convegno internazionale contro la repressione la città universitaria sarà di nuovo popolatissima.