Quando il 12 dicembre 1955 all’ora dell’imbrunire di una bella giornata tardo autunnale il cineamatore Ottavio Barbisio riprende con la sua cinepresa 16mm la diga di Monteponi nel sud della Sardegna, sembra che l’Italia si stia avviando a diventare una repubblica idroelettrica fondata sulle dighe. In questi anni ruggenti di industrializzazione se ne costruiscono in tutta la penisola e anche nelle isole: dighe e bacini artificiali sono una frontiera di modernità e una risorsa energetica su cui investire, contando su una fiducia illimitata sul progresso tecnico e tecnologico. L’impatto sul paesaggio sarà notevole e le ambizioni e le contraddizioni che caratterizzano la corsa all’”oro blu”, l’acqua, si vedranno presto. Per ora rimaniamo abbagliati da queste opere e dal paesaggio suggestivo colto dalla cinepresa. A Monteponi la diga è stata collaudata pochi mesi prima della visita di Barbisio, ma sulla diga si legge la data di due anni prima, che corrisponde all’avvio della costruzione. L’opera, classificata come “grande diga”, è stata realizzata ad opera della Società Mineraria Monteponi per consentire l'approvvigionamento di acqua dolce degli impianti utilizzati per l'estrazione elettrolitica di diversi metalli, tra i quali principalmente zinco e cadmio, quindi per un uso specifico legato alle miniere della zona. Quando le miniere sarde chiuderanno anche la funzione di questa diga cesserà e rimarrà un impianto di archeologia industriale e un altro pezzo tangibile della memoria dell’industria, del lavoro, dell’architettura e delle trasformazioni del paesaggio del nostro Paese.