Il cinema amatoriale è una cosa seria, attraverso il quale magari iniziare un percorso verso il successo e la carriera. E non si direbbe, ma anche nel cinema amatoriale esistono i “provini”. Alla ragazza, aspirante attrice, che vediamo in questo provino del 21 febbraio 1976 è richiesto, dall’ingresso in scena nello studio del filmmaker Mauro Mingardi, di provare diverse espressioni del viso e del corpo, di assumere particolari atteggiamenti, di gesticolare e di posare. E così davanti alla cinepresa ridere sguaiatamente, avere paura e terrore, piangere, mostrare piacere. Queste immagini vanno inquadrate nel contesto storico e culturale che abbiamo ereditato, dove lo sguardo è quasi sempre dell’uomo sulla donna, inducendoci a riflettere sui ruoli di genere. D’altronde si può osservare che in quello stesso contesto assistiamo all’affermarsi della soggettività e dell’individualità femminile, di cui anche la cinepresa può essere uno strumento. Queste immagini però esprimono anche molto di più, il valore del provino come ritratto della persona e performance in sé (che Andy Warhol ebbe l'intuizione di affermare) e ciò che suscita: l’emozione e l’espressione, la leggerezza e la freschezza, l’erotismo e l’ironia. E la bellezza di un 8mm consapevole di essere quello che è, un piccolo film riflesso e omaggio di un volto e di un corpo, come appare il 21 febbraio 1976.