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Il cinema d’artista italiano

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Il cinema d'artista italiano è sempre stato vittima di diversi preconcetti. Dapprima l’idea che si trattasse di una produzione a latere rispetto all'opera d'arte oggettuale intesa come oggetto pittorico o scultoreo, e considerata dunque come “arte minore” rispetto alla produzione artistica cosiddetta. Il secondo preconcetto è legato invece a una lettura critica che considera il cinema d’artista come una pratica nata dal voler evitare la mercificazione dell'opera d'arte. Al contrario, l’attrazione degli artisti per il mezzo cinematografico proveniva dalla facilità di reperimento del supporto. Con l'avvento del Super8 gli artisti italiani si trovano di fronte alla possibilità di poter fare il cinema in casa ed è proprio la volontà di riprodurre, sviluppare con facilità la pellicola e generare delle copie a permettere di avere scambi internazionali. Il reale motivo di spinta dell’artista verso il mezzo non è dunque la “non mericificazione” dell’oggetto quanto la diffusione di quest’ultimo: una completa novità e un cambio di rotta per il tempo. Trasportare un film in copia rende infatti molto più facile la circolazione della propria produzione artistica rispetto allo scambio e al trasporto di opere d’arte oggettuali che andavano trasportate con dei costi assicurativi e che, soprattutto, erano pezzi unici.
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